Sono qui


Nel sogno il mio letto era una zattera
perduta in mezzo al mare
e tu alla deriva chiedevi aiuto
agitando le braccia: "Sono qui!"

Io ti gettavo un salvagente, poi
tanti salvagenti
e non mi stancavo mai
e tu non ti stancavi mai
di deviarli lontano
agitando le braccia: "Sono qui!"

Ti gettavo salvagenti, uno dietro l'altro,
e non mi stancavo mai
e dicevo: "Ti vedo, sono qui anch'io,
siamo insieme!"

E tu ridevi ma non ti aggrappavi
agitavi le braccia: "Sono qui!"
e non ti aggrappavi.
Forse avevi inventato un gioco
che ti piaceva
o ti era spuntata la coda
ed eri diventata una sirena.

Non so; io lanciavo salvagenti
tu ti allontanavi.
Ognuno si sceglie la sua parte
anche nei sogni.

Photo Credit: Julia Bridge Flickr via Compfight cc

Foglia al vento, di Bernard Binlin Dadie


Sono l'uomo color di notte,
Foglia al vento, sono in balia dei sogni.
Sono l'albero che germoglia a primavera
e rugiada che canta nel cavo del baobab.
Sono l'uomo che dà scandalo,
Perché è contro i formalismi.
L'uomo di cui si ride
perché è contro le barriere.
Sono l'uomo di cui si dice "ah, quello là!"
Sono l'uomo che non puoi afferrare.

Brezza che ti sfiora e fugge,
Foglia al vento, sono in balia dei sogni.

Il capitano della nave
Che a prua cerca nel turbine delle nubi
L'occhio possente della terra,
La barca senza vela
Che scivola sull'oceano.

Sono l'uomo con sogni infiniti
Come le stelle
Più rumorosi che sciami d'api
Più sorridenti che sorrisi di bimbi
Più sonori che l'eco delle foreste.


Una poesia dell'ivoriano Bernard Binlin Dadie dalla raccolta La Ronde des jours (1956)


Photo Credit: Maurizio Zanetti Flickr via Compfight cc

Agosto


Agosto, era meglio non sapere niente:
a che serve il mio amore,
se sei tu che rinunci a me?

Agosto, mi troverò un'altra
stagione preferita che mi faccia
sudare e che mi faccia brillare.

Non sono oro che luccica al sole,
ma sono prezioso.



Photo Credit: Opimentas Flickr via Compfight cc

L'uomo che ti assomiglia, di René Philombé



Ho bussato alla tua porta,
ho bussato al tuo cuore
per avere un letto,
per avere del fuoco.
Perché mi respingi?
Aprimi, fratello!

Perché mi domandi
se sono dell'Africa,
se sono dell'America,
se sono dell'Asia,
se sono dell'Europa?
Aprimi, fratello!

Perché mi domandi
la lunghezza del mio naso,
lo spessore della mia bocca,
il colore della mia pelle
e il nome dei miei dei?
Aprimi, fratello!

Io non sono un Nero,
io non sono un Rosso,
io non sono un Giallo,
io non sono un Bianco,
non sono che un uomo.
Aprimi, fratello!

Aprimi la tua porta,
aprimi il tuo cuore
perché sono un uomo,
l'uomo di tutti i tempi,
l'uomo di tutti i cieli,
l'uomo che ti somiglia!


Una poesia del camerunense René Philombé, in Petites gouttes de chant pour créer l'homme (poèmes) (Piccole gocce di canto per creare l'uomo), Éditions Semences africaines, Yaoundé, 1977.

Voglio essere tamburo, di José Craveirinha


Voglio essere tamburo
Il tamburo è invecchiato gridando
Oh, vecchio Dio degli uomini
lasciami essere tamburo
corpo e anima solo tamburo
sono tamburo che grida nella calda notte dei tropici.

Non fiore nato nel bosco della disperazione
non fiume che scorre verso il mare della disperazione
non lancia temprata al fuoco vivo della disperazione
nemmeno poesia forgiata nel dolore rosso della disperazione.

Niente!

Solo tamburo invecchiato gridando alla luna piena del mio paese
solo tamburo di pelle conciata al sole del mio paese
solo tamburo scavato nei duri tronchi del mio paese.

Io
solo tamburo che spezza il silenzio amaro di Mafalala
solo tamburo invecchiato guidando il batuque del mio paese
solo tamburo perduto nelle tenebre della notte perduta.

Oh, vecchio dio degli uomini
io voglio essere tamburo
e non fiore
e non fiume
e non lancia per ora
e nemmeno poesia
Solo tamburo che risuona come la canzone della forza e della vita
solo tamburo giorno e notte
notte e giorno solo tamburo
fino alla consumazione della grande festa del batuque.

Lasciami essere tamburo

solo tamburo!


Una poesia di José Craveirinha, in Karingana Ua Karingana (C'era una volta), Lourenço Marques: Académica, 1974.

"Signum Jonae": c'è salvezza per tutti


XL edizione della Sacra Rappresentazione del Venerdì Santo
"Signum Jonae"Venerdì 30 marzo, ore 20.15
Colline di Ciconicco (Ud)


Quello di quest'anno sarà per me un Venerdì Santo ancora più intenso, dal momento che ho l'onore di curare testo e messinscena per l'edizione 2018 della Sacra Rappresentazione del Venerdì Santo organizzata dall'associazione Un Grup di Amis (qui il sito internet ufficiale). Invitandovi a partecipare, riporto le note di regia che ho scritto per il libretto che accompagnerà l'evento.


Giona è “profeta per forza”, dal momento che alla chiamata di Dio risponde fuggendo nella direzione opposta a quella del Suo volere; è “profeta sdegnato”, quando la sua opera di annuncio salva un popolo lontano da ogni grazia; è “profeta contro se stesso” quando, dinnanzi alla conversione degli abitanti di Ninive, si dispera perché interpreta la salvezza concessa da Dio come un’ingiustizia. Giona è uno strano profeta. Eppure la prima comunità cristiana aquileiese dedica proprio alla sua storia lo spazio più ampio nel grande mosaico che copre il pavimento dell’Aula Sud della Basilica di Aquileia, realizzato nel IV secolo d.C. quando i cristiani poterono uscire dalla clandestinità senza più temere persecuzioni. Perché questa scelta? 

Nel Vangelo di Matteo (e anche in quello di Luca), Gesù, rispondendo a scribi e farisei che cercano di metterlo in difficoltà chiedendogli un segno della Sua divinità, risponde: «Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta.» “Il segno di Giona”: cioè la storia di un “profeta suo malgrado” che, dopo tre giorni nel ventre di un mostro marino, annuncia il perdono di Dio a un popolo considerato ormai perduto, ma che invece crede, si converte e viene salvato. Gesù, come Giona, muore e scende nel ventre della terra per portare «il mistero di una salvezza che attraverso la morte di Cristo, disceso agli inferi, non ha più barriere e coinvolge tutti, anche i pesci-uomini più lontani, quelli degli abissi». Una verità di fede che i cristiani aquileiesi professavano nel loro Credo, della cui unicità erano consapevoli ed orgogliosi. 

L'insegnamento del chicco di grano, che nel cuore della terra perde la sua vita per acquistarne una nuova nella spiga, è conoscenza antichissima cui si sovrappone l'insegnamento di Cristo. La morte sacrificale e la sepoltura del corpo di Cristo nel cuore della terra in attesa della resurrezione rappresentano il momento centrale non solo della liturgia cristiana ma dello stesso messaggio evangelico. 

La Sacra Rappresentazione Vivente del Venerdì Santo di Ciconicco quest’anno vuole dare questo messaggio, abbinando con semplicità il racconto “aquileiese” di Giona a quello del Vangelo Secondo Matteo, che per tutto il suo svolgimento invita il fedele a vivere con coerenza morale e si chiude affidandogli la stessa missione che Gesù ha affidato ai discepoli: fare il volere del Padre ed essere misericordiosi come lui lo è con noi, suoi figli. 

La comunità dei primi cristiani di Aquileia trovava la sua unità nel segno di Giona e nel grande mosaico della Basilica. Quella storia era la profezia della passione, morte e resurrezione di Cristo, con l'invito a riconoscere e servire il Figlio di Dio nascosto, quaggiù, in ogni volto di uomo. 

Misericordia e salvezza non per pochi, ma offerte a tutti.

Valigia


Ho bussato alla tua porta
E hai aperto subito, gentile
Strappandomi la valigia di mano
Perché potessi entrare più veloce.

Mi hai fatto visitare ogni stanza
E dicevi potresti fermarti qui
Accompagnandomi alla porta.

Rivoglio la valigia.

Photo Credit: Andrea Critti Flickr via Compfight cc