Il caimano delle paludi di Hesperia



C'era un falso calvo caimano
allergico alla giustizia e pure nano!
Qualcuno pensava di potersene liberare
ma "Coi filistei muoia Sansone!" lo si sentì urlare.
Ah, priapico menzognero caimano!

A casa

Anno 2450 della nuova era, quadrante 741/35B
Erano passati già tre anni da quando si erano staccati dall’orbita dell’ultimo pianeta del sistema stellare che fino a quel momento li aveva ospitati; erano partiti senza avere una meta precisa pensando solo a mettersi in salvo come ormai erano abituati. Fuggire, sempre fuggire.
Per la prima volta, quando ancora al tempo dei loro padri abitavano il loro pianeta d’origine, perseguitati dai loro simili per le solite assurde ragioni razziali; perché come riportavano le cronache dei tempi antichi c’era stato chi si credeva superiore per il semplice fatto di avere una pelle diversa: e allora si erano dovuti isolare, rifugiarsi in comunità ristrette, fino a dover scappare lontano per evitare le violenze ed i soprusi.
Poi nelle ere più recenti le guerre fra pianeti e fra confederazioni avevano scosso l’universo. A nulla era valso l’intervento del Consiglio Interplanetario per cercare un’ intesa, una via per salvare la pace ormai compromessa: a contare era solo l’interesse personale, la brama di essere più ricchi e potenti dei propri vicini. La guerra c’era stata; e devastante come non mai: si erano registrati cinque pianeti distrutti, molti ridotti solo a cumuli di macerie fumanti. Le vite perse in quelle inutili battaglie erano state incalcolabili.
Coloro che si erano salvati avevano visto davanti sé solo la desolazione di mille civiltà perdute, impossibili da ricordare per qualsiasi memoria; il passato era volato via come polvere nel vento, mentre del futuro non resisteva che una fioca luce, un baluginio che si sarebbe spento in breve se loro stessi non vi avessero creduto. Ognuno aveva fatto la sua parte nel creare nuove speranze per la vita di quella comunità di sopravvissuti: scelto un minuscolo pianeta abbastanza vicino ad una stella vi avevano portato la vita, avevano creato un piccolo paradiso solo grazie agli sforzi di tutti solidali con tutti. Avevano ricominciato da dove tutto era finito: si erano impegnati nella ricerca per la vita e per l’evoluzione fino a riguadagnare poco per volta quello che era andato perduto della loro scienza buona.
Ma se per lungo tempo le cronache avevano ricominciato ad annotare solo fatti positivi, quando si cominciava a perdere il ricordo delle sofferenze patite, la stella che fino ad allora li aveva accuditi aveva subito un mutamento. Gli scienziati avevano registrato qualcosa, ma la loro tecnica era ancora troppo arretrata per opporsi a eventi così terribili. Si erano solo potuti mettere in salvo, scappare come avevano sempre fatto, lasciare quel nuovo pianeta, quella nuova casa e fuggire ancora. Avevano evitato di essere spazzati via dall’esplosione della loro stella ma erano costretti a vagare per lungo tempo alla ricerca di un nuovo pianeta in grado di ospitarli, offrendo loro una nuova possibilità.
Le scorte ridotte al minimo e senza sapere dove dirigersi avevano intrapreso il viaggio, forti solo della propria speranza e del conforto che erano capaci di offrirsi l’un l’altro.

Durante l’ennesima giornata di peregrinazione nel cosmo, in un momento che appare ai sopravvissuti uguale a cento altri passati nella navetta viene avvistato il pianeta.
Il computer di bordo dopo un’attenta analisi dei dati ricavabili dall’atmosfera la segnala come respirabile, l’equipaggio si prepara a sbarcare. Negli occhi dei più vecchi sembra riaccendersi la speranza che credevano non avrebbero più ritrovato. I più piccoli, quelli che non hanno mai saputo cosa significhi perdere la propria casa sono entusiasti di averne trovata una. È per tutti l’inizio di un nuovo periodo, forse più duro dei precedenti, ma che tutti desiderano comunque vivere.
Una volta a terra tutti hanno ritrovato la fiducia; respirano quell’ottimo azoto come non facevano da tempo, una leggera brezza spazza le loro squame.
Si sentono finalmente a casa.


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Questo racconto l'ho scritto in terza media, per un compito a casa. L'ispirazione arrivava dal racconto La sentinella di Frederic Brown, uno dei racconti di fantascienza più incredibili nella sua semplicità e forse il primo di cui abbia una memoria così chiara.
A casa l'ho riesumato perché da un po' di tempo sono ritornato a scrivere racconti che si riavvicinano a questi binari fantastici ma non così tanto da staccarsi del tutto dalla realtà, se si leggono a fondo; e allora volevo mostrarvi qualcosa del percorso che sto intraprendendo.
Che dite?

IllumiNAZIONI - 54. Esposizione Internazionale d'Arte - Biennale di Venezia


Siccome mi è capitato di andare alla Biennale di Venezia anche quest'anno e alcune opere mi hanno colpito riporto alcune riflessioni.

Si è molto parlato dell'operazione di Sgarbi per il Padiglione Italia: ha demandato il suo ruolo di curatore a 100 intellettuali italiani, che hanno consigliato (raccomandato?) 100 artisti. Nel bene e nel male, lo stato dell'arte in Italia oggi. Non diversamente da una Galleria degli Uffizi, dal Louvre o dal British Museum, belle opere stanno vicino a croste inguardabili. Titolo: l'arte non è cosa nostra. Le interpretazioni possono sprecarsi.
Se i presupposti potrebbero essere anche giusti, la confusione concettuale e anche materiale (visto che il padiglione arriva al termine del denso percorso espositivo dell'Arsenale ed molto mal organizzato logisticamente) non aiuta affatto a focalizzare l'occhio o la mente. Ma forse è questo l'obiettivo del non-curatore. L'arte non è cosa sua.

Io però, di fronte al marasma rinuncio a capire, lascio solo lavorare le sensazioni e un istintivo gusto estetico per ciò che mi attira e mi repelle, quindi consiglio a chi vorrà o non l'ha già fatto di farsi un giro e formarsi una sua idea.

Traggo invece il mio personale percorso all'interno sia dei padiglioni nazionali (quelli che ho potuto vedere), sia del percorso della mostra principale IllumiNAZIONI (curatrice e direttrice della Biennale 2011: Bice Curiger).
Si tratta del Padiglione austriaco ai Giardini dell'artista Markus Schinwald e delle opere Untitled (Ghost) dell'israeliano Elad Lassry, Untitled di Urs Fischer e The Clock di Christian Marclay (opera che ha ricevuto il Leone d'oro 2011).
Mi hanno colpito per la caratteristica che le accomuna e che, guarda un po', interessa anche me: il tempo e tutto quello che ci sta attorno.




Schinwald ha costruito un'installazione-labirinto, ridisegnando lo spazio interno del padiglione austriaco; il percorso all'interno, per necessità architettonica, aumenta, e il tempo si dilata scandito solo a tratti dall'incontro con quadri, frammenti del tempo passato, oggetti antichi incastonati in un presente asettico e geometrico. Poi due installazioni video, loop di movimenti semplici e straniati, ossessivi nella loro nullità: l'eterno ripetersi del nostro accumulare gesti e atteggiamenti quotidiani nel tentativo di adattarci alla vita sociale.



Untitled (Ghost) non tratta del tempo (mi hanno spiegato), ma secondo me sì. Un gruppo di ballerini in lunghi piani sequenza, come il meccanismo di un orologio, esegue in perfetta sincronia una danza silenziosa, che - come lo scorrere del tempo - segna e scandisce solo se stessa. Un'immagine rarefatta, impalpabile di una delle ballerine mi ricorda che tutto questo è presente, sempre, anche se per noi è lieve e tuttavia così pervasivo che non ce ne accorgiamo.
 


L'opera di Urs Fischer invece - come il tempo - inganna: ad un primo sguardo, un gruppo di statue apparentemente di solido marmo; ma a guardar bene esse si rivelano sotto l'azione della fiamma di piccole candeline che le consumano. Ammassi di morbida cera in lento disfacimento, segnati dal tempo, come corpi vivi.



L'apoteosi di questo mio piccolo percorso è The Clock. Un film di montaggio della durata di 24 ore in cui ogni attimo della pellicola è sincronizzato al tempo della vita reale: un lavoro certosino e pazzesco! Ad ogni riferimento filmico cronologico controllo l'ora sul mio cellulare. Passano i minuti, le ore, costantemente il film rimanda la scansione del tempo, misurato, aleatorio, terribilmente presente per chi guarda, portandoti a vivere il tuo momento personale di fronte allo schermo.

Poi il tempo passa, qualcosa dovrà pur rimanere.