Jorge Luis Borges
Biografia fantastica

La biblioteca è enorme, la più grande che si possa immaginare. Milioni di volumi, piccoli e grandi, riempiono i lati dei lunghi corridoi di cui si compone, ordinati in scaffali che vanno da terra fino a dove il mio sguardo non è in grado di arrivare. Un labirinto, direbbe qualcuno. Non riesco a ricordare il momento esatto da cui ho cominciato ad aggirarmi fra questi corridoi. Mi fermo per sfilare un libro a caso (ma sento che potrei prenderne qualsiasi altro e sarebbe la stessa identica cosa). Scivolo con le dita prima sulla costa del libro e poi sul taglio delle pagine. Apro in un punto qualsiasi e scorro un paio di capoversi. Sulla pagina si susseguono sequenze di caratteri di lunghezza variabile ma tutte completamente prive di senso. Sfoglio alcune pagine, e dopo averne girate cinque o sei incontro una combinazione di senso compiuto: “...storia di un poeta cieco, un novello Omero. Alcuni dicono che sin da piccolo manifestò i sintomi di quella cecità che nella sua famiglia era ereditaria da ben sei generazioni, mentre altri sostengono che sarebbe la conseguenza di un fatale incidente; comunque sia, ecco la storia, con le inevitabili varianti dovute al tempo e alla buona o cattiva letteratura. Ma ugualmente la raccontiamo così, perchè come avrebbe detto lui «l'oblio e la memoria sono inventivi». Sarebbe parso a prima vista un avvocato, o un geniale scienziato pazzo, eppure...” Qui le parole di senso compiuto si interrompono e le pagine proseguono infilando lunghissime stringhe di caratteri a casaccio. Ripongo il libro e riprendo il mio cammino, voltando sempre a sinistra, regola aurea per trovare il centro di un labirinto. La quantità di libri ammassati in questo luogo è impressionante. Il solo conteggiarli fa vacillare. Leggo a caso un paio di titoli dalle coste dei libri su questo scaffale: Storia dell'eternità, bello, ma forse un po' troppo lungo. Encyclopaedia Britannica, impegnativo. E' un altro libro, sporgente rispetto ai suoi compagni ad attirare la mia attenzione. Sporge all'altezza delle mie ginocchia, mi metto seduto per dargli un'occhiata. Curiosamente (ma di cosa mi devo stupire ancora in questo luogo?) a questo volumetto mancano le prime pagine: “...come un sacerdote di una religione oscura, era un bibliotecario sprofondato nelle tenebre dal fato. Viveva in sé forse, le agitazioni nel suo Paese al quale non si sottrasse mai, rivendicando le sue convinzioni conservatrici ma non retrograde o immobilizzanti. Egli stesso in privato suggeriva d'essere, in fondo, un vecchio anarchico. Costretto ad abdicare dal suo regno di carta e sapere, mai vide riconosciuto il suo genio dai suoi pari (ma sempre dai suoi lettori). Non gli perdonarono le idee tradizionali e l'atteggiamento cosmopolita, refrattario al folklore (ma non alla madrepatria) ed alle forzature moderniste. In particolare non gli perdonarono una cena al tavolo di un tiranno assassino. Mente un altro tiranno gli incarcerò madre e sorella. Cedette il suo posto...” Le pagine proseguono d'un biancore immacolato. Nessuna parola. Niente di niente. Una biblioteca con libri che sembrano non raccontare nulla. Proseguo ancora nei corridoi sprofondati nella semioscurità. Ad una svolta mi colpisce un libro, l'unico, aperto su una mensola nella quale sembrano mancarne parecchi. Il libro è aperto a questo passo: “...Si racconta che questo geniale architetto della fantasia abbia intessuto la sua opera per intero di miti e leggende, legandoli uno ad uno con fili sottilissimi di parole. Partito dalla sua terra magica si dice abbia saputo attraversare il mondo reale per costruire il suo mondo fatto di sublimi menzogne e perfette opere contraffatte.
Nascose la sua storia dentro altre centinaia di storie, amalgamandole così bene da non lasciar più distinguere la verità di una da quella di un'altra, nascondendo la sua vita in un gioco fantastico. L'apprendistato alla vita l'ha condotto ad essere scrittore a sette anni, a nove traduttore, a quindici viaggiatore. Dalla sua terra nativa, terra del sogno, la famiglia lo portò in terre reali e lontane e qui si nutrì delle fantasticherie degli scrittori di quei popoli. Dopo la lontananza dalla sua terra natale vi rientrò animato dal fuoco. Scrisse, scrisse, scrisse. Passo a passo si addentrò nel suo personale labirinto di richiami interni, rivisitazioni, giochi di echi e di specchi. I luoghi della sua toponomia fantastica alterarono le forme convenzionali del tempo e dello spazio per creare mondi di simboli, costruiti a partire da riflessi, inversioni, parallelismi. Forme di artifici o potenti metafore dallo sfondo metafisico. Usa la sua orribile oscura malattia in senso creativo. Trame di vita che utilizzano la storia come menzogna, come falso, plagio e parodia universale. Questo è quello che i nostri padri e i padri dei loro padri prima ancora ci hanno raccontato. Alla fine di questa strana vita vissuta fra doppi, realtà parallele, sogno, libri misteriosi e magici e slittamenti temporali quello che noi conserviamo non è poi molto. Qualche frammento di testo. Ma che più di tutto ci illumina: «Sono cieco e ignorante, ma intuisco che sono molte le strade». Sappiamo che anche lui, sogno dopo sogno, si addormentò...” Così finiva la pagina. Non mi sembrava di averci capito molto. Girai la pagina e dai fogli scivolò un biglietto. Lo raccolsi da terra e lo lessi. Era una specie di appunto: “Finito di costruire pezzo a pezzo la sua Opera il Demiurgo la contemplò soddisfatto. Storia e Sapere si congiungevano alla fantasia creatrice per produrre l'improbabile trattato di una realtà finta più reale di quella vera.” Capii dov'ero finito.

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Questo racconto è comparso ad Aprile sul n. 16 di Cluster (Rivista indipendente a diffusione gratuita) che trovate in giro per il Friuli Venezia Giulia e penso anche grazie a qualche sconfinamento in Veneto.

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