Odio le persone (siamo tutti sulla stessa barca)


Odio le persone.
Stupidità dilagante, niente sensibilità, ostinazione e cecità, indifferenza verso tutti e tutto, sciocchezze, scuse inventate per distrarci e auto-assolverci quando ignoriamo il fatto che siamo tutti sulla stessa barca.
“Siamo tutti sulla stessa barca” è un proverbio – ne sono certo – inventato da Noè in persona. Immagino l'antico patriarca svettare in cima al cassero dell'Arca, a impartire ordini concitati alla sua piccola ciurma familiare, nel bel mezzo del nubifragio voluto dal dio vendicativo dei Padri. Il rischio è quello di essere spazzati dalle ondate gigantesche che fanno vibrare i fianchi della nave, di essere sbalzati in acqua dalla furia degli elementi. “Tutti devono collaborare – continua ad urlare Noè, lo sentite? – perché in quest'Arca siamo pochi, mentre essa è grande, ed è di tutti ma anche di ciascuno!” Avrà visto uno dei figli, una nuora o un nipote viziato attardarsi nel mettere in sicurezza una vela o nell'eseguire una manovra necessaria alla stabilità del timone, o – peggio – darsi per vinto di fronte alla forza della Natura. Ma non si può, bisogna collaborare perché “siamo tutti sulla stessa barca”. La salvezza non può che essere di tutti e per tutti. Così la barca continua il suo viaggio.

Odio le persone.
Perché è sempre un rischio averci a che fare, perché non fanno mai quello che è giusto, perché anch'io sono come loro. Siamo tutti sulla stessa barca, del resto. La saggezza popolare che ci ha sostenuto per lunghi millenni, i ritmi della vita sono perfetti perché naturali, perché necessari. Oggi è tutta una sciocca superstizione: bello il vivere sano, ma solo secondo “le moderne teorie e i dettami della scienza”. Quello che è stato lo buttiamo via tutto, in blocco, come nulla fosse, perché sennò ci scappa da ridere. Siamo così rincoglioniti da tutte le sovrastrutture che abbiamo creato per renderci facile la vita che non sappiamo più dire “perché?”. Non ci interessa nemmeno cercarlo questo perché (fondamentale è cercare, non trovare). Sappiamo cosa, come, quando. Non sappiamo tutto, ma sappiamo tanto. Eppure abbiamo perso di vista il perché. È una domanda che ci suona stonata, fuori luogo; richiederebbe troppo tempo cercare la risposta ad una domanda così, di tempo non ne abbiamo, non ce n'è. Abbiamo da fare, siamo tutti indaffaratissimi. La barca va, ma non sappiamo più dove. È il perché che non ci appartiene più. Ma il perché è il senso, è la direzione. Persi, smarriti.

Odio le persone.
Ma amo gli esseri umani. E vorrei salvarli tutti, vorrei capire se davvero hanno bisogno di essere salvati, e vorrei trovare le parole per rendere chiaro tutto questo, vorrei spiegarlo a tutti, vorrei trovare le parole per parlare al cuore di ciascuno.


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Ho scritto questo testo nel 2013, a corredo di un progetto che ancora non ha visto la luce, ma che dovrebbe avere il titolo "Andiamo a mangiare la pajata": un viaggio a piedi da Friuli e Veneto assieme all'artista Alberto Condotta per andare a mangiare a Roma questo piatto antichissimo e popolare, ma oggi incredibilmente esotico, incontrando altre vite lungo il cammino.

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