Il fare, le storie e una benedizione


Durante lo scorso dicembre ho letto una trilogia meravigliosa di cui avevo sempre sentito parlare come “letteratura per ragazzi”, ma che in completa discordanza con grafica, presentazione ed editore, si è rivelata tutt'altro. Si tratta di “Queste oscure materie” del britannico Philip Pullman, composta dai libri: “La bussola d'oro”, “La lama sottile” e “Il cannocchiale d'ambra”. Non che io sia tanto avanti nel mio cammino, ma i temi e lo stile con il quale vengono trattati, rischiano di confondere un lettore alle prime armi. Quello che probabilmente inganna è l'impostazione fantasy dei romanzi, ambientati in parte o completamente (come nel caso del primo) in mondi paralleli o sovrapposti al nostro come se si trattasse di foto sfocate. Al centro della vicenda vi è la Polvere, misteriosa e pervasiva sostanza cosmica vagamente apparentata con la materia oscura della cosmologia contemporanea. (cito da Wikipedia) Tale sostanza ha anche a che fare con la facoltà di concepire pensieri originali e sviluppare una personalità indipendente, facoltà che il Magisterium, chiesa vocata al dominio universale ed al culto di un essere supremo chiamato Autorità, per definizione avversa e combatte.
Tralascio di raccontare tutto per filo e per segno, anche se la narrazione e i temi che sviluppa sono molto interessanti, pongono domande importanti a tutti sulla libertà e sul proprio compito nella vita. Ma è sull'ultimo libro che mi soffermo, dal momento che vi ho trovato due passi che mi sono piaciuti tantissimo e che trovo utili in questo passaggio della mia vita. Il primo parla di possibilità:

Will pensava al da farsi. Quando si sceglie una via fra tante, tutte quelle che non s'imboccano si cancellano come fiamme di candela spente, quasi non fossero mai esistite. In quel momento, in Will convivevano tutte le scelte possibili. Ma tenerle in vita tutte significava non fare niente. Doveva scegliere e basta. (p. 27)
Scegliere significa fare. E per me fare significa essere. Sono convinto di conoscermi sempre meglio attraverso quello che faccio, perché facendo scelgo di preferire una via rispetto ad un'altra, in modo il più coerentemente possibile con i passi che ho fatto in precedenza, accumulando esperienza. E che le mie azioni siano buone lo verifico attraverso i loro frutti, su di me (in modo molto epicureo, se vogliamo, giudicando se ne traggo godimento) e sugli altri. È questo l'unico modo che ritengo di avere a disposizione per incidere nella realtà, e se sono qui sono fermamente convinto di dovervi incidere.

Direttamente connessa a questa c'è un'altra citazione che mi ha folgorato. [Potrebbero esserci spoiler] I protagonisti, Will e Lyra, nel corso delle loro avventure si trovano a dover sprofondare nel mondo dei morti dal quale apriranno una finestra su un nuovo mondo dando la possibilità a tutti gli spiriti di scegliere se rimanere nell'aldilà o dissolversi rientrando a far parte del ciclo vitale di tutti i mondi, tornando a far parte della Polvere e così della Vita. Per ammansire le arpie, che come nell'inferno dantesco sono a guardia di una zona di quel mondo, Will e Lyra (ma soprattutto Lyra, che per tutti e tre i romanzi ha dalla sua questa straordinaria capacità di racconto, anche se spesso ricco di fantasiose bugie) raccontano loro delle storie, come dovranno fare da quel momento in poi tutti gli spiriti che vorranno transitare verso la finestra.
«E se lo facciamo» disse Will con voce tremula, «se viviamo saggiamente le nostre vite, se non le viviamo distrattamente, allora avremo anche qualcosa da raccontare alle arpie. È questo che dobbiamo dire alla gente, Lyra.»
«Sì, per avere storie vere da raccontare» disse lei, «le storie vere che le arpie vogliono in cambio. Sì, perché se la gente vive un'intera vita senza aver niente da raccontare alla fine, allora non lascerà mai il mondo della morte. È questo che dobbiamo dire a tutti, Will.» (p. 424)
Da qualche anno anch'io ho fatto questa scelta di raccontare storie. Cerco di farlo sempre meglio, perché sento che è questo a dare senso all'esistenza. Trovarlo scritto mi ha confermato in questa convinzione.
Poi la citazione continua e per me in questi giorni è terribilmente vera, perché mi trovo in una situazione simile: anch'io ho ricevuto una benedizione che mi è stata tolta, senza che la colpa sia di nessuno, e non so che fare se non disperarmi senza che questo cambi nulla.
«Da soli, però...»
«Sì» disse lei. «Da soli.»
E a quella parola, 'soli', Will sentì che un'ondata di rabbia e disperazione sgorgava da un punto pronfondo dentro di lui, come se la sua mente fosse un oceano agitato da qualche profondo sommovimento. Per tutta la vita era stato solo, e adesso doveva tornare a esserlo, e quella benedizione infinitamente preziosa che lo aveva toccato doveva essergli immeditamente tolta. Sentì l'onda crescere e salire fino a oscurare il cielo, ne sentì la cresta tremare e cominciare a rompersi, sentì la gran massa precipitare, spinta da tutto il peso dell'oceano, contro la costa rocciosa di ciò che doveva essere. E si ritrovò a singhiozzare e tremare e urlare di rabbia e di dolore come non gli era mai successo prima, e scoprì Lyra inerme al pari di lui tra le sue braccia. E quando l'onda ebbe esaurito la sua forza e l'acqua si ritrasse, le rocce nere rimasero; non si poteva discutere con il fato: la sua disperazione e quella di Lyra non le avevano smosse di un centimetro. (p. 424 – 425)
Fare. Storie. Benedizione. Perché scrivo tutto questo? Cercherò di connettere queste tre parole, dargli senso in una frase. Che il fare storie diventi una benedizione.

Le citazioni sono tratte da P. Pullman, Il cannocchiale d'ambra, Salani Editore, Milano 2001.

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