IllumiNAZIONI - 54. Esposizione Internazionale d'Arte - Biennale di Venezia


Siccome mi è capitato di andare alla Biennale di Venezia anche quest'anno e alcune opere mi hanno colpito riporto alcune riflessioni.

Si è molto parlato dell'operazione di Sgarbi per il Padiglione Italia: ha demandato il suo ruolo di curatore a 100 intellettuali italiani, che hanno consigliato (raccomandato?) 100 artisti. Nel bene e nel male, lo stato dell'arte in Italia oggi. Non diversamente da una Galleria degli Uffizi, dal Louvre o dal British Museum, belle opere stanno vicino a croste inguardabili. Titolo: l'arte non è cosa nostra. Le interpretazioni possono sprecarsi.
Se i presupposti potrebbero essere anche giusti, la confusione concettuale e anche materiale (visto che il padiglione arriva al termine del denso percorso espositivo dell'Arsenale ed molto mal organizzato logisticamente) non aiuta affatto a focalizzare l'occhio o la mente. Ma forse è questo l'obiettivo del non-curatore. L'arte non è cosa sua.

Io però, di fronte al marasma rinuncio a capire, lascio solo lavorare le sensazioni e un istintivo gusto estetico per ciò che mi attira e mi repelle, quindi consiglio a chi vorrà o non l'ha già fatto di farsi un giro e formarsi una sua idea.

Traggo invece il mio personale percorso all'interno sia dei padiglioni nazionali (quelli che ho potuto vedere), sia del percorso della mostra principale IllumiNAZIONI (curatrice e direttrice della Biennale 2011: Bice Curiger).
Si tratta del Padiglione austriaco ai Giardini dell'artista Markus Schinwald e delle opere Untitled (Ghost) dell'israeliano Elad Lassry, Untitled di Urs Fischer e The Clock di Christian Marclay (opera che ha ricevuto il Leone d'oro 2011).
Mi hanno colpito per la caratteristica che le accomuna e che, guarda un po', interessa anche me: il tempo e tutto quello che ci sta attorno.




Schinwald ha costruito un'installazione-labirinto, ridisegnando lo spazio interno del padiglione austriaco; il percorso all'interno, per necessità architettonica, aumenta, e il tempo si dilata scandito solo a tratti dall'incontro con quadri, frammenti del tempo passato, oggetti antichi incastonati in un presente asettico e geometrico. Poi due installazioni video, loop di movimenti semplici e straniati, ossessivi nella loro nullità: l'eterno ripetersi del nostro accumulare gesti e atteggiamenti quotidiani nel tentativo di adattarci alla vita sociale.



Untitled (Ghost) non tratta del tempo (mi hanno spiegato), ma secondo me sì. Un gruppo di ballerini in lunghi piani sequenza, come il meccanismo di un orologio, esegue in perfetta sincronia una danza silenziosa, che - come lo scorrere del tempo - segna e scandisce solo se stessa. Un'immagine rarefatta, impalpabile di una delle ballerine mi ricorda che tutto questo è presente, sempre, anche se per noi è lieve e tuttavia così pervasivo che non ce ne accorgiamo.
 


L'opera di Urs Fischer invece - come il tempo - inganna: ad un primo sguardo, un gruppo di statue apparentemente di solido marmo; ma a guardar bene esse si rivelano sotto l'azione della fiamma di piccole candeline che le consumano. Ammassi di morbida cera in lento disfacimento, segnati dal tempo, come corpi vivi.



L'apoteosi di questo mio piccolo percorso è The Clock. Un film di montaggio della durata di 24 ore in cui ogni attimo della pellicola è sincronizzato al tempo della vita reale: un lavoro certosino e pazzesco! Ad ogni riferimento filmico cronologico controllo l'ora sul mio cellulare. Passano i minuti, le ore, costantemente il film rimanda la scansione del tempo, misurato, aleatorio, terribilmente presente per chi guarda, portandoti a vivere il tuo momento personale di fronte allo schermo.

Poi il tempo passa, qualcosa dovrà pur rimanere.

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